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L'esplorazione delle grotte di Letino.

 

A Giustino Sciarra da Isernia che va ad esplorare le grotte,

in risposta al suo invito.

 

Giovane ardito, che la sacra fiamma

dell'andar per i monti e scalar cime,

nel nobil core hai, so che t'infiamma

nella fierezza dell'età, non stime

di sollazzi e di cibi ma di pace,

che sol sui monti leva la sua face.

 

O temerario, che non hai timore

di penetrar nelle tetre e profonde

grotte del Lete! Oh non sai tu che il core

occorre saldo aver quando sull'onde

del sotterraneo fiume avrai l'oblio? ...

Tu potresti ad Isernia dare addio!

 

Pur va, e in esse sali, e poi ti addentra.

Passa la prima grotta pianeggiante,

in un'altra pur grande, calmo entra.

Subito a manca è la terza, allungante

sè in un corridoio misterioso,

gravido di silenzio spaventoso.

 

In fondo alla seconda è un'apertura,

scomoda assai, bassa e limitata,

d'un sol capace della tua statura.

Qui fa d'uopo che tu un pò incurvato,

or entri nella quarta spaziosa,

assai fantastica e meravigliosa.

 

Vedrai pender dall'alto verso terra

dei corpi lunghi, al vedere strani,

dal suolo poi alzarsi quasi in guerra

ai primi, coni aguzzi, duri e immani ...

Non temer, non son spettri ma calcare,

e stalattiti soglionsi chiamare.

 

Nera spelonca là, nella seconda

grotta, a destra, comincia, e paurosa.

Nessuno mai s'ardì nella profonda

entrata dell'Inferno e spaventosa,

l'occhio gittar ... Assai ti prego, arretra!

torna sicuro a respirare all'etra.

 

Oh quanto a te amerei essere accanto!

All'ardue opre di Minerva intento,

venir non posso,  e allor potrò soltanto,

quando sul carro maestoso e lento,

Febo raggiante, dai Gemelli uscito,

col forte Cancro si sarà riunito.

 

Le Oreadi brune, belle e spensierate

che a Campitello ci fur liete amiche,

sui libri anch'esse stanno ora curvate,

dell'arcigna Minerva alle fatiche.

Io spero assai che tuti fra tre mesi

sarem di Campitello sui maggesi.

 

Ti lascio con intensa nostalgìa

e scusa l'innocente bizzarrìa.

 

Aprile 1948.

 

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